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Champions: Barca troppo forte, Juve l’orizzonte è l’Europa

(luca rolandi). Bisogna ragione a freddo e ad un giorno dall’epilogo della finalissima di Champions league, provo a scrivere una analisi serena del match e della stagione in bianco e nero. Dunque la Juventus esce sconfitta, con onore e qualche rimpianto, dalla finalissima con il Barcellona di Luis Enrique, un 3-1 netto che avrebbe potuto essere però evitato. Nessuno avrebbe pronosticato la Juve in finale. Il Barca si e anche vincente. La maturazione della squadra bianconera, agevolata anche dagli accoppiamenti, è comunque un segnale inequivocabile: la Juve per crescere deve diventare europea rivincere delle coppe.

Al netto di sfottò e applausi, che ci stanno tutti naturalmente, la Juventus all’Olimpico ha fatto il possibile. Ha preso una rete a freddo. ha lasciato un tempo ai Blaugrana, ma è riuscita a riorganizzarsi solo nella ripresa, per poi soccombere su contropiede. Qualche uomo non è stato all’altezza: Vidal nervoso, Pirlo affaticato, Tevez sotto tono. Contro la corazzata Barcellona, al grand completo, serviva la partita perfetta e un poco di fortuna, ne l’una ne l’altra si sono materializzate sul leggendario prato dei ragazzi del 2006. Proprio quei ragazzi hanno cercato di dare valore aggiunto all’assalto, inatteso, degli zebrati, benissimo Gigi Buffon, fortissimo e sempre più saggio, a intermittenza Pirlo, credo davvero, dopo una carriera straordinaria all’epilogo. Il possesso palla del Barca è stato spaventoso e il portierone bianconero ha fatto tre miracoli.

Barcellona epocale

I numeri e le statistiche non credo incidano, come le cabale e altre amenità. Ciò che conta è che il Barca è la squadra più forte del mondo, ha vinto 4 champions in dieci anni ed è sempre andata almeno ai quarti. Solo il Bayern è stato all’altezza. Non l’Inter, il Chelsea e lo stesso Real. Insomma i catalani sono una società ai vertici del calcio mondiale che punta a superare di slancio, Bayern permettendo, Milan e Liverpool, alla caccia degli eterni rivali del Real Madrid. Iniesta, Piquè, Xavi erano già la spina dorsale del Barca campione del 2006, poi sono arrivati altri fenomeni Messi, Neymar, Suarez, buon ultimo, folle ma spaventosamente efficace. Insomma Luis Enrique non è un genio o un santone ma ha plasmato una squadra che può ancora vincere per anni. La Juve avrebbe potuto anche portare il match ai supplementari magari vincere, ma va considerato che il suo obiettivo era giungere ai quarti, in considerazione della rosa e del deficit di qualità per aspirare veramente a vincere una coppa così importante. In ogni caso la stagione di Allegri è esattamente identica a quella del primo Lippi, scudetto e coppa, anzi migliore perché il viareggino fu sconfitto dal Parma in Uefa, mentre il livornese si dovuto inchinare nella Coppa più importante ai marziani catalani. Nel 1996 la Juve investì tanto e conquistò l’Europa. Ora la parola passa alla società. Per cercare di andare in fondo e quella dovrà essere la vocazione della Juventus del futuro, bisogna spendere per portare a Torino campioni veri, se si vuole vincere in Europa. L’esempio è il Bayern. Nel 2010 e 2012, in casa perse due finali. Con ostinazione e motivazione e grandi campioni si è andata a prendere il trofeo nel 2013. Così si fa. Il resto sono chiacchiere da bar.

Juve e maledizione Champions

La Juve ha un primato nella Coppa dalle grandi orecchie quello delle finali perse, superando anche il Benfica. Un rosario che parte da Belgrado per giungere a Berlino. C’è sempre qualcosa di storto o di malefico che costringe la Juve ha soccombere. Ma tra le finali perse almeno quella di Berlino è stata giocata. Non fu così a Belgrado, troppo forte l’Ajax, ad Atene dove per superbia la squadra fu superata da un abbordabile Amburgo, così come a Monaco con il Dortmud. Più equlibrate ma sempre con una Juve debole e impaurita le finali perse con Real e Milan.  6 finali sono tante troppe. La Juve deve provare a vincere e preparare la stagione per e sulla Champions o l’Europa League. Vent’anni sono troppi, gli stessi tifosi, potrebbero non accontentarsi più del primato indiscusso nella penisola. Intanto bentornata Vecchia Signora nell’olimpo del calcio. Serve un passo ulteriore. Guai a pensare di aver fatto il massimo. E lo sarebbe stato anche in caso di vittoria. Barca docet.

Heysel 1985-2015, la notte della morte del calcio

(luca rolandi). Trent’anni sono mezza vita, un progetto che si realizza o finisce nell’incedere del tempo. Era una notte di fine primavera. Era il 29 maggio 1985. Non c’erano i telefoni mobili, la rete internet, i dispositivi digitali e il villaggio globale era solo una idea futura. Si comunicava con la carta e il telefono. Stadio Heysel, Bruxelles, sta per andare in scena la finale di Coppa dei Campioni, tra le squadre più forti del momento la Juventus dei campioni del mondo di Spagna 1982 e il Liverpool a fine di un ciclo di straordinarie vittorie. Trapattoni contro Fagan, Platini contro Rush.  I campioni in carica, i reds della città dei Beatles e la Juventus che di quella “maledetta” coppa ha ricordi negativi, due finali perse, con il grande Ajax nel 1973 e con l’Amburgo due anni prima, nella più cocente delusione della storia bianconera.

La Juventus aveva superato il Liverpool nella Supercoppa nel gennaio 1985 in gara unica a Torino, 2-0 con doppietta di Boniek, l’attesa infinita, la gente bianconera ci crede e si muove con ogni mezzo per sostenere la Vecchia Signora.

Qui finisce il racconto sportivo e parte la cronaca nera, di una notte maledetta. L’insipienza e la vergogna, la colpa grave senza attenuanti del Governo Belga, che non seppe neppure per un minuto garantire l’ordine pubblico, la Uefa che organizzò una finale in uno stadio fatiscente e pericolosissimi, gli hooligans inglese, coperti e protetti in patria fino a quella tragica notte, che colpirono e si scagliarono contro tifosi inermi, vittime in una notte da incubo.

Alle 19,30 gli inglesi attaccano, il settore Z che conteneva molti italiani e tifosi tranquilli di altri paesi europei, sono schiacciati dalla furia dei teddy boys inglesi.

Le gradinate erano di terra ed i gradoni composti da pietre/ mattoni che si distaccavano dalla stessa terra con facilità estrema.
La curva era divisa a metà da una rete metallica “tipo pollaio” e da una parte vi eravamo soprattutto italiani, non organizzati in club, l’altra metà era destinata agli inglesi.  Nel settore c’eravamo tutti coloro che avevano acquistato il biglietto con pacchetti delle Agenzie, quindi la maggior parte erano tranquilli turisti, padri di famiglia con mogli, figli e ragazzi al seguito. La curva inoltre “terminava letteralmente con un muro” senza alcuna uscita e/o cancello, non continuando con le tribune che erano distanti e divise da un fossato.

Il panico li spinge verso il muro che delimita la tribuna. In molti scappano, altri soffocano, la polizia non apre i varchi. Alle 20, 15 è tutto finito. 39 corpi di uomini e donne giacciono in un campo diventato obitorio. Ci sono il piccolo bimbo sardo Andrea Casula, la giovane ragazza aretina Giuseppina Conti, che era stata premiata con la finale per i suoi risultati scolastici, il medico Roberto Lorentini, che prima di scomparire, salvò altre persone fino a scomparire. Il caos è totale, il campo è invaso dalla gente, lacrime, sangue, dolore, feriti e morti, tanti morti. L’emergenza è tale che viene chiamato l’esercito, dopo che per una gara del genere erano stati predisposti prima dell’inferno, solo poche centinaia di agenti. Le notizie circolano in fretta. In tribuna stampa è il caos, i feriti (saranno 600 in tutto), vanno a farsi medicare negli spogliatoi. Gli ultras della Juventus scendono sulla pista, vola di tutto.  La tensione è fuori controllo. I giocatori della juve sanno si sono già rivestiti. Gli inglesi restano chiusi negli spogliatoi. La Uefa prende l’unica decisione giusta, fare disputare una partita che sarà vera, ma assolutamente surreale. Vince la Juve, segna Platini, su rigore, concesso per un fallo su Boniek iniziato abbondantemente fuori area.

In trance la squadra festeggia, la curva esulta, molti non hanno notizie certe. Oggi sapremmo tutto in tempo reale. Il volto sconvolto di Edoardo Agnelli, ritratto in una foto storica rende l’idea di una tragedia assurda. Bruno Pizzul commenta una partita senza senso. Il calcio, lo sport sono fuori. Era cronaca nera, guerra.

Tanto si è scritto, detto, girato. Belle pagine, commozione e angoscia. Ma l’Heysel non è un romanzo, è un fatto tragico accaduto e per questo, la rabbia e l’indignazione, si uniscono alla volontà di raccontare le verità nascoste. La Juventus ha fatto poco, solo da qualche anno ha iniziato un rapporto sincero con l’Associazione dei famigliari. Il Liverpool è stato reticente per alcuni anni poi la seconda più grave strage che colpi nel 1989 all’Hillsborough Stadium di Sheffield, prima di un Liverpool-Nottingham Forest, d Coppa d’Inghilterra, con una carneficina, 96 morti.

Per l’Heysel, tra l’indifferenza di troppi, c’è stata una lunghissima vicenda giudiziaria. Imputati il Governo Belga, l’Uefa e gli hoolignas di Liverpool. Un lungo processo. Poche persone l’hanno seguito. Un grande avvocato italo-Belga Vedovato ha speso anni per aiutare i famigliari nella difficilissima battaglia legale. Se oggi in Europa gli Stadi sono più sicuro e le responsabilità definite lo si deve a Otello Lorentini e alla battaglia legale, spesso portata avanti nell’indifferenza di società, federazioni e istituzioni politiche e sportive.

Tra le ricostruzioni più fedeli e nate per dare voce a coloro che hanno dovuto convivere con il dolore per una vita intera, il libro di Francesco Caremani, giornalista aretino, per sua stessa definizione “juventino ma non tifoso”, riconoscendo alla parola “tifoso” un’accezione negativa purtroppo rinsaldata dagli avvenimenti degli ultimi mesi. Il suo libro “Heysel: una strage annunciata”, edito dalla coraggiosa casa editrice Bradipolibri diretta da Luca Turolla, è uno dei più efficaci memoriali su ciò che accadde quella sera.  Caremani va nelle scuole, nelle piazze, collabora in modo stretto e riconoscente con L’Associazione Vittime dell’Heysel, fondata da Otello Lorentini e oggi guidata dal nipote.

La storia di Caremani è legata a doppio filo a quella notte, che non lo vide spettatore diretto solo per un fortuito caso della vita: “Dovevo andare anch’io a Bruxelles insieme a Roberto Lorentini, amico di famiglia, ma presi un brutto voto in latino, e per punizione per il sicuro esame a settembre i miei genitori non mi lasciarono partire”.

Da allora non ha mai smesso di pensare a quella sera e gli sta dedicando una parte essenziale della sua vita, per onorare e ricordare le 39 vittime. Non si può morire per una partita di calcio, ma è successo a Bruxelles il 29 maggio 1985, e ancora oggi accade. Da allora è stato fatto per migliorare la sicurezza negli stadi, siamo ancora lontani dal passaggio culturale che bandisce la violenza dal calcio. Ogni volta che ascoltiamo un coro indecente da stadio pensiamo ai tanti morti innocenti, di quella e altre notti e vergogniamoci.

 

Siviglia sul tetto dell’Europa League

(luca rolandi) Il Siviglia vince sempre, soprattutto se in palio c’è la seconda coppa europea in pallio. Ancora una volta le furie di Ansalusia sono sul gradino più alto dell’Europa League, già Uefa e anticamente coppa delle Fiere.

il Siviglia bissa il successo dello Stadium del 2014, così come aveva fatto nel 2006 e 2007 e con quattro vittorie complessive, stacca Juventus, Inter e Liverpool e si erge al comando della più lunga e stressante competizione continentale. La finale di Varsavia è stata molto equilibrata. Il Dnipro ha dimostrato di poter competere ad altissimo livello e, pur essendo tecnicamente inferiore agli andalusi, ha onorato con una partita di cuore la finalissima. In vantaggio gli ucraini con Kalinic al 7′, gli uomini di Emery suonano la carica e prima pareggiano con l’unico polacco in campo,  Krychowiak, e poi si scatena con il colombiano Bacca autore di una splendida doppietta. La prima rete nella frazione iniziale e poi nella ripresa la rete decisiva. Attimi di panico per un malore di Mattheus, nel finale. La Coppa resta in Spagna e già si festeggia in tutta l’Andalusia.

FINALE di Europa League 2015

Varsavia: Dnipro-Siviglia 2-3

ALBO D’ORO COPPA (già Fiere, poi Uefa oggi Europa League)
4 vittorie Siviglia
3 vittorie Juventus, Inter e Liverpool

Coppa Italia una decima per la Signora

(luca rolandi) . E alla fine arrivò, dopo vent’anni, anche la Coppa Italia. In una gara sofferta, equilibrata e fortunata, la Juve di Allegri centra il double e conquista, grazie alla rete di Matri nei supplementari la coppa nazionale. Olimpico pieno di passione, laziali in maggioranza, ma curva juventina caldissima, come la sera del 22 maggio 1996, anno domini Champions. L’inizio del match è di marca laziale. Radu anticipa su un cross dalla destra Pirlo e insacca al 3′. Nulla può Storari protesosi in volo. Ma la Juve si rifà subito sotto. Quest’anno è animata da un sacro furore, senza limiti; al 10′ pareggia grazie ad una rovesciata in area, dopo una punizione di Pirlo raccolta di testa da Evrà e perfezionata dal difensore bianconero. Partita tattica e sul filo del rasoio, tensione e grande cuore. Si va al riposo sull’1-1 e nulla accade nella ripresa. Poi nei supplementari accade l’imponderabile, al 110 doppio palo di Diordievic, con un tiro da fuori area con Storari battuto e il serbo che si dispera. Gol sbagliato, gol subito. Nell’azione successiva secco destro al centro dell’are di Matri, subentrato a Llorente e rete. Poi la Juve controlla e si porta a casa la coppa. Quanta strada dai fischi di Vinono e la sconfitta con Lucento…. e ora Berlino per sognare ancora, nell’anno della Signora.

Mattarella Chiellini